La felicità perfetta è il mio secondo romanzo ed è uscito a maggio 2018 per Leucotea Edizioni

Ho ambientato il mio secondo romanzo, La felicità perfetta, a Torino. È la città che conosco meglio, perché ci vivo. Ho voluto infatti concentrarmi sul reale, su quello che ci sta intorno e che spesso per distrazione non vediamo. Ho girato i quartieri, i locali, ho osservato la gente, ascoltando i loro discorsi per trovare l’idea che facesse partire una storia. Cercavo qualche personaggio strano, diverso, fuori da quella che banalmente chiamiamo normalità. Le periferie sono il luogo perfetto dove scovarli, i bar soprattutto, quei bar qualsiasi, abbastanza anonimi da diventare un rifugio. Qui si incrociano vite al limite, persone totalmente estranee all’ordine sociale costituito.

Su questa gente ho voluto puntare, quelli che non si capisce bene su quale pianeta vivano, che si muovono sulla sottilissima linea di confine che separa i matti accreditati dai normali. Persone chiuse nel loro mondo assurdo, che non si adattano al vivere comune. Perché non ci riescono, o perché non vogliono? Da questa domanda è partito il romanzo. Siamo noi a pensare che un emarginato soffra della propria condizione, magari è lui che non vuole inserirsi e neanche gli interessa essere aiutato a farlo. Prende quello che gli viene offerto per convenienza, ma preferisce starsene nel proprio mondo anziché in quello degli altri.

Alice non ama le persone, le considera stupide, quando non furbe e malvage. Qualche volta ci ha pure provato, ad avvicinarsi a qualcuno, e ne è uscita con le ossa rotte.
Ha capito che mostrarsi in difficoltà è rischioso, provare dei sentimenti ancora di più. Qualcuno ne approfitta, altri si divertono. Aprirsi agli altri, quando non si conta nulla, porta solo a dare fastidio e a subire umiliazioni. Ha sperimentato il bullismo tra adulti.
Però, ha anche capito che essere matti ha i suoi vantaggi: nessuno si aspetta nulla, non devi faticare, prima o poi metteranno qualcuno a occuparsi di te senza che tu debba muovere un dito.

Torino è una cornice in movimento, che accompagna. Per Alice è la città ideale, le strade disposte a reticolato l’aiutano a non perdere l’orientamento. Però bisogna fare attenzione a come ci si muove: tra le vie, negli angoli, ci si può nascondere, ma l’insidia arriva all’improvviso, di colpo ci si trova esposti, senza difese, alla mercé di tutti. Torino può regalarti la pace o colpirti come un pugno allo stomaco. Alice l’ama e la odia, la vorrebbe vuota, deserta. È la gente a rovinarla, chi la vive, ma soprattutto chi la possiede. Alice si scontra con il potere, lei, che sta all’ultimo gradino, sperimenta la spregiudicatezza di quelli che sono in cima.
Ho voluto inserire e descrivere l’élite del mondo culturale torinese, un ambiente con cui ho avuto spesso a che fare, per motivi lavorativi e non. Ho visto i volti di coloro che godono il proprio posto al sole, sicuro e inafferrabile. Non è il sorriso di chi è arrivato, è il ghigno beffardo di chi sa che il suo privilegio è conferito dagli dei, e che gli altri non potranno mai arrivarci. Sanno di potersi permettere tutto, di essere inattaccabili. A questo proposito, ho scritto un articolo sulla cultura alternativa online.

La battaglia sembra persa, eppure chi non ha nulla da perdere può diventare inaspettatamente pericoloso. Le persone come Alice non possono pensare alla felicità, è qualcosa di talmente lontano da divenire ridicolo. Per loro, potersi crogiolare nella noia è il massimo a cui possano aspirare. A meno che non si tenti l’impossibile un’ultima volta, sfidando i più forti sul loro terreno, senza pietà.
Se va male sarà la fine. Se va bene, sarà la felicità perfetta.

Elisa Rolfo

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