Displaced è il mio primo romanzo ed è stato pubblicato nel 2016

Displaced – Fuori dal sistemaè il mio primo romanzo e ha avuto una gestazione lunghissima. Scritto la prima volta, riletto e corretto, e di nuovo riscritto, per poi ricominciare da capo. Prima di questo, avevo realizzato una serie di racconti e articoli da blog; di alcuni ho ripreso idee e situazioni, per unire diversi elementi in un’unica storia. Avevo l’idea di creare un mondo di fantasia che fosse metafora della realtà, dove l’invenzione richiamasse situazioni vissute, o non accadute, ma che potrebbero accadere. Un fantasy contemporaneo che si ispira al mondo di internet e dei social, alla cultura alternativa online, alla frenesia e al paradosso, al contrasto tra consumismo e degrado.

L’idea di partenza nasce dal reale. Ho notato un’attitudine importante, un fenomeno diffuso: il divario tra le molte persone che non contano nulla e i pochissimi che contano qualcosa, e che sono tali proprio perché quelli che non contano nulla danno loro importanza. Se smettessero, la situazione si ribalterebbe all’istante, forse sarebbe il caos. Ma non accadrà mai: siamo troppo stupidi, o pigri, per farlo.
O forse abbiamo bisogno di aggrapparci a qualcosa o a qualcuno che sentiamo più grande e più forte di noi, per allontanarci dalla nostra realtà, evadere da un quotidiano troppo opprimente. Così nascono gli idoli: che sia il cantante di turno, il programma tv o la squadra di calcio, purché ci permetta di scappare, non pensare, sentire meno il dolore.
I seguaci dei diversi idoli sono divisi tra loro, ma non in contrasto. Un’evoluzione del dividi et impera che semplificando si potrebbe chiamare “distrai et impera”. Ed è un sistema che tutti i media sfruttano ampiamente. Una soluzione eccezionale, perché le persone distratte, ossessionate, si concentrano sul nulla e non fanno danni. Ai seguaci importa solo del loro idolo, per lui darebbero la vita. Di contro, all’idolo di loro non interessa niente, possono dannarsi e morire. Senza un seguito, l’idolo cade, ma tanto sa che non accadrà mai. I seguaci sono troppo infatuati e stanno sempre lì, per uno che se ne va ne arrivano altri cento. Tanta gente che vale zero, sta per terra, ma permette all’idolo di arrivare alle stelle. Questa è la realtà, non fantasia, anche se la mia è una storia inventata.

Il termine displaced è di difficile traduzione, significa “non collocato”, “fuori posto”. È stato coniato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per indicare tutti coloro che avevano perso tutto, non avevano più un luogo dove tornare né un’identità. Lo hanno coniato gli americani, ed è stato usato da Primo Levi nel suo Se non ora, quando?
Qui, i displaced sono coloro che non hanno un idolo, non seguono nessuno, non fanno parte di un gruppo. Sono fuori dal sistema, vivono ai margini, svolgono i mestieri più umili. Il romanzo è di fantasia, quindi avrei potuto far perseguire i displaced in modo più aggressivo e diretto, anziché emarginarli e basta. Ma ho notato che la repressione è ormai una soluzione obsoleta: è più semplice e meno dispendioso rendere innocua una persona screditandola pubblicamente, perché a perseguitarla in maniera diretta c’è il rischio che qualcuno possa prenderla in simpatia. È il principio del bullismo: chi non si amalgama a un determinato ordine, a un modo di vedere le cose, di vestire e di comportarsi, viene messo da parte e ridicolizzato. Il bullismo riguarda anche gli adulti, anzi, è la forma più grave, poiché non se ne parla e non si è tutelati.

Ho voluto mettere in evidenza il contrasto tra la divisione e il gioco di squadra. Il gruppo è un’arma potente, agendo in squadra si potrebbero ottenere grandi vittorie. Il detto “L’unione fa la forza” è sulla bocca di tutti, ma messo in pratica da pochi, se non da nessuno. Tutti subiamo umiliazioni, ritorsioni, abusi da chi è più forte, e le subiamo ciascuno per i fatti propri, in solitudine, senza poterci difendere. Se un gruppo di persone si unisse e combattesse insieme avrebbe una forza strepitosa, diventerebbe invincibile. Nel romanzo a un certo punto succede. Ma questa, sì, è fantasia.

Elisa Rolfo

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