Da sempre ci si ostina per capire quale sia davvero il significato della parola cultura, con mille diverse interpretazioni

Quale diavolo è il significato di cultura? La questione è ostica, dal momento che il concetto è decisamente vasto. Il primo collegamento che viene in mente riguarda le nozioni, le competenze, il sapere. Ed è decisamente limitato, quando non errato.
In origine, l’idea di cultura era legata al coltivare qualcosa, curarla, esercitarla e dedicarvisi. Forse è proprio la definizione antica quella più azzeccata.

Nella modernità la cultura si intende come quel bagaglio di conoscenze e pratiche acquisite che vengono trasmesse di generazione in generazione. Ma la semplice trasmissione non è sempre cosa buona. Da una parte va senz’altro bene, perché guai a perdere il sapere, teniamo però presente che se le competenze non si ampliano e modificano si cade nel retrogrado e in abitudini che in tempi più moderni rischiano di risultare pessime.
Inoltre, chi proviene da un contesto familiare di ignoranza necessita senz’altro di distanziarsi da usi e costumi tradizionali, quindi superare l’ostacolo dell’attaccamento alle radici e fare da sé. Chi ha alle spalle una famiglia ignorante dovrà faticare il doppio per avere accesso alla cultura, poiché si ritrova un bagaglio di concetti stupidi accumulati negli anni, che deve scrollarsi di dosso. Inoltre, fin dalla tenera età non ha aiuti né stimoli che lo portino alla costruzione di un pensiero culturalmente valido.

La concezione pragmatica presenta la cultura come formazione individuale, volta all’esercizio di acquisizione di conoscenze. In tale accezione essa assume una valenza quantitativa, per la quale una persona può essere più o meno colta. Certamente entra in gioco lo studio, che è fondamentale, alla base della cultura. Non basta però da solo se la mente non è allenata e aperta. In passato il legame tra cultura e studio era più forte, perché quest’ultimo richiedeva un notevole sacrificio; oggi in molti casi studiare è un escamotage per non andare a lavorare e nulla più, motivo per cui troviamo laureati col cervello di una cozza. Le conoscenze infatti si rivelano inutili se non vengono coltivate e si ha la testa rimbambita da luoghi comuni, perbenismo e programmi idioti.

Opinione comune è, inoltre, il potere intellettuale o status, che vede la cultura come luogo privilegiato dei saperi locali e globali, tipico delle istituzioni superiori. Spesso è intesa come monopolio delle classi privilegiate e per questo evitata da chi non si sente all’altezza perché magari gli tocca fare il lavapiatti. Nulla di più sbagliato. Ormai, chi siede sugli scranni il più delle volte ci è arrivato grazie all’appartenenza familiare (un altro motivo, purtroppo, per cui la famiglia di origine conta più dell’effettivo merito) e spesso si tratta di buoni a nulla che provvedono a prestare la propria immagine come interfaccia del lavoro altrui. In sostanza, il rampollo di buona famiglia incapace non può certo andare a spazzare le strade, per cui viene collocato dove si pensa procuri meno danni, in genere nel settore cultura. Peccato, invece, che poi di danni se ne contino in abbondanza. Di contro, abbiamo sempre più persone competenti che puliscono scale, poiché la possibilità di spostarsi tra classi sociali in base alla meritocrazia sta precipitando al livello dello zero.

Anche l’influenza della Chiesa in Italia ha contribuito non poco a stravolgere il significato di cultura.

Certo, possedere la cultura resta un privilegio di pochi. Ma non c’entra lo status, occorrono due doti rare: una formidabile memoria e l’abilità di analisi. Se ricordassimo metà di tutto ciò che leggiamo, vediamo, apprendiamo, andrebbe già bene. I colti ricordano tutto, o quasi. E riescono a capire come le cose funzionano e cosa sta dietro. Pochi sono i fortunati che nascono con queste possibilità. Eppure, praticare la cultura è facoltà di tutti: non c’è bisogno di pubblicare un libro o prendersi quattro lauree, basta averne voglia. Quindi, qual è il significato di cultura? Circoscriverlo in un margine ristretto significherebbe andare contro la cultura stessa, poiché non si può recintare un concetto tanto ampio e dai confini indefiniti. Probabilmente il senso sta nel mettersi in gioco, sapendo di non sapere, e non fermare mai la conoscenza. Viaggiare, visitare, leggere ed evitare per quanto possibile tutto ciò che rattrappisce il cervello, siano cose, manifestazioni o persone. Si potrebbe riassumere il significato di cultura come la proiezione a costruirsi idee proprie sulla base del dubbio e del confronto, rifuggendo i preconcetti. E il tenersi lontano dagli idioti.
Ho dedicato al significato di cultura un capitolo del mio ultimo libro, La grande ammucchiata.

Sentirsi arrivati non combacia con il significato di cultura,  chi si ritiene realizzato produce solo ignoranza. Occorre volere sempre di più e produrre confronto, poiché la cultura è libero scambio e ciò che tu hai appreso può servire a qualcun altro, e viceversa. La cultura, dicono, rende liberi. Di fatto non è proprio così, dal momento che la libertà vera sta solo nell’assenza di vincoli. Possiamo dire però che la cultura è una buona arma per mantenere almeno la speranza di arrivarci. Anche perché un aspetto importante del significato di cultura è la ribellione, intesa come non accettazione passiva dell’autorità imposta. A questo proposito, qui trovi un articolo sulla cultura alternativa online.

Elisa Rolfo

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