Chi sogna di pubblicare un libro e non trova un editore cade spesso nel tranello delle case editrici a pagamento

Pubblicare a pagamento è un aspetto dell’editoria che dovrebbe sparire, eppure è ben lungi dal farlo. Capita di frequente di imbattersi in annunci online che recitano più o meno così: “Hai scritto un libro? Rivolgiti a noi, siamo alla ricerca di autori esordienti”. Sono allettanti, proprio come gli annunci di lavoro che promettono assunzione e guadagni per chiunque. La soluzione in un clic. Certo, per poter pubblicare un libro è richiesto un piccolo investimento iniziale, ma che cosa sono un pugno di soldi davanti alla possibilità di poter realizzare i propri sogni, conquistarsi un pubblico, partecipare a fiere del libro e rilasciare interviste? Il successo verrà, e il guadagno con lui.

Bene, se è così che funziona, allora che ne dite di mettere su un banchetto di frutta e verdura e pagare i clienti perché vi portino via la merce? Vedrete quanti saranno disponibili ad assaggiare le vostre mele, peccato che poi nessuno le acquisterà. Non lo fareste mai, eppure è la stessa cosa: voi pagate un editore per cedergli i vostri diritti. Perché in tantissimi ci cascano? Perché in questo caso ci sono in gioco i desideri e le aspirazioni, per cui si è disposti a tutto, anche a travisare la realtà. Ci si sente gratificati dal fatto di poter dire di essere scrittori.

Sugli EAP, acronimo di editori a pagamento, si è già scritto e si scrive molto. Per approfondimenti su questo fenomeno solo italiano e destinatario di una proliferazione di opinioni, rimando a siti utili e approfonditi di informazione online come Scrittori in causa, Lipperatura, Scrittevolmente, Writer’s dream. Per chi volesse farci un giro merita la pena, per l’impegno di chi li cura e per l’utilità delle informazioni. Occhio anche agli agenti letterari finti che ti propongono editing e rappresentanza a pagamento per poi mettersi d’accordo con gli EAP e dividersi il gruzzolo. Riguardo alle agenzie letterarie affidabili, puoi leggere questo articolo.

Una buona possibilità per uno scrittore esordiente è l’autopubblicazione, ovvero prodursi il libro da sé, senza intermediari, rivolgendosi direttamente al pubblico. Su internet si trovano molte tipografie che stampano copie a un prezzo ragionevole, pagando un po’ di più offrono anche il servizio di editing e correzione di bozze. Ma si tratta appunto di servizi: tutti i diritti dell’opera e l’eventuale ricavo sono di chi l’ha scritta.

Per riassumere in breve:

PUBBLICAZIONE– L’editore investe sull’opera dell’ingegno e paga le spese di pubblicazione. L’editore promuove e vende il prodotto. L’editore riconosce una percentuale del guadagno allo scrittore che ha fornito la “materia prima”, il cosiddetto diritto d’autore. Ho pubblicato con un editore i miei due romanzi, Displaced e La felicità perfetta.

PUBBLICARE A PAGAMENTO – Paghi per far pubblicare il tuo romanzo. Tutti i diritti passano alla casa editrice. Leditore non fa nulla per promuovere e vendere il libro, tanto ha già guadagnato. Devi venderti il romanzo da solo. I ricavi vanno alla casa editrice, che poi ti riconosce una percentuale, generalmente molto piccola, poiché sei un esordiente. Roba da pazzi, eppure sapete quanti ci cadono? Il fatto che molti si ostinino a rivolgersi alle case editrici a pagamento è da annoverarsi tra le cose assurde ma vere che inspiegabilmente continuano ad accadere.

AUTOPUBBLICAZIONE – Paghi per far stampare il romanzo (una tipografia). Ti devi promuovere e vendere il libro da solo, ma tutti i diritti e i ricavi sono tuoi. Se decidi di usufruire di una vetrina per pubblicizzare l’opera (generalmente un portale online), sarai tu a corrispondere una percentuale a chi te l’ha fornita. Ho usato l’autopubblicazione per il mio ultimo libro, La grande ammucchiata. Storie di quotidiana idiozia.

Quindi, mai pubblicare a pagamento, non ha senso ed è controproducente. Anche per lavorare nella cultura, bisogna ragionare in termini di impresa e business, se si vuole che funzioni.

In molte discussioni in cui sedicenti intellettuali parlano di editoria e di esordienti, si percepisce un sottofondo di sospetto e discriminazione nei confronti di chi decide di fare da sé. Un leit motiv a mezza bocca che recita più o meno così: “Attento, che se pubblichi da solo sei bruciato“. Un editore potrebbe non prenderti in considerazione, anche con un buon prodotto, solo per il fatto di esserti proposto di tua iniziativa. Come se autoproporsi fosse una sfida, una provocazione per cui poi qualcuno potrebbe fartela pagare.

E ancora, si nota una tendenza al compatimento, quando non all’aperto disprezzo, degli scrittori che pubblicano con le case editrici, nei confronti di coloro che si autopubblicano. Arricciate di naso che sussurrano: “Così son capaci tutti. Se ti pubblichi da solo, vuol dire che non sai scrivere“. Un po’ come dire: “Se ti metti in proprio, anziché trovare un impiego da dipendente, è perché sei un incapace sul lavoro”.

Ora, è certamente vero che così son capaci tutti, anche gli analfabeti funzionali. Si può scrivere l’elenco del telefono o il riassunto dettagliato della mia banalissima vita e trasformarlo in un libro con tanto di copertina. Quello che non capisco è perché dia tanto fastidio.

Non è un fenomeno che si verifica per le altre arti. Pensiamo a quante compagnie di teatro amatoriale pullulano le scene. Nessun attore professionista ne è infastidito. Né alcun artista affermato si sognerebbe mai di predersela con gli aspiranti pittori che  espongono nei mercatini. Non è chiaro, invece, perché questo accada nell’editoria. Viene da pensare che il problema non sia che qualcuno senza talento si improvvisi scrittore. Quello al massimo può far sorridere. Forse la motivazione è da ricercarsi nel fatto che la scrittura, rispetto alle altre forme d’arte, ha un impatto sul pubblico più immediato: allora, il rischio concreto è che qualcuno, mediante l’autopubblicazione, così come la cultura alternativa online, possa diffondere idee che sfuggono a un controllo preventivo.

Elisa Rolfo

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